Soggettività politica delle donne, emancipazione e giustizia nell'età della globalizzazione

AutorSilvia Vida
CargoDipartimento di scienze giuridiche, Università di Bologna
Páginas70-104
Periódico do Núcleo de Estudos e Pesquisas sobre Gênero e Direito
Centro de Ciências Jurídicas - Universidade Federal da Paraíba
Nº 02 - Ano 2015
ISSN | 2179-7137 | http://periodicos.ufpb.br/ojs2/index.php/ged/index
70
DOI: 10.18351/2179-7137/ged.2015n2p70-104
SOGGETTIVITÀ POLITICA DELLE DONNE, EMANCIPAZIONE
E GIUSTIZIA NELL’ETÀ DELLA GLOBALIZZAZIONE
Silvia Vida
1
Abstract: This article enquires into the
conditions of possibility of women’s
emancipation in the era of neoliberal
globalization or, to borrow Nancy
Fraser’s words, in a post-socialist and
post-Westphalian context, where both
social egalitarianism (justice as
redistribution) and identity politics
(justice as recognition) are in crisis. In
order to do this, I will have to address,
first, the “who” of emancipation, the
political subject incarnating it. This is
done from two different but
interconnected perspectives: the
existentialist one, usually associated
with the particularistic or relativistic
viewpoint of some strands of feminist
thought, and Ernesto Laclau’s
Hegelianism, which put to the forefront
the Gramscian notion of hegemony and
its emancipatory implications. Secondly,
I will explore Fraser’s post-socialist and
globalist perspective in search of new
possibilities of expression for women’s
political subjectivity.
Keywords: women’s political
subjectivity; emancipation; hegemony;
Nancy Fraser; Ernesto Laclau.
1. Tra eguaglianza e differenza
Nella lucida ricostruzione di
Nancy Fraser, la storia della seconda
generazione del femminismo appare
1
Dipartimento di scienze giuridiche, Università di Bologna. E-mail: silvia.vida@unibo.it
come un’“opera in tre atti” (Fraser,
2013a: 1). Nel primo atto, a partire dagli
anni Settanta, le femministe hanno
mostrato il profondo androcentrismo del
capitale capace di occultare l’ingiustizia
di genere, e senza voler smantellare il
welfare state hanno cercato di
trasformarlo in una forza capace di
superare la dominazione maschile. In
questa fase le teorie di genere
riflettevano ancora l’influenza del
marxismo: talvolta sensibili e talaltra
ostili alle analisi di classe, queste teorie
hanno collocato i rapporti di genere sul
terreno dell’economia politica, cercando
di espandersi con l’inclusione di temi
come il lavoro domestico, la
riproduzione, la sessualità. Nel secondo
atto, col venir meno delle spinte
utopiche, le teorie femministe sono state
ricondotte nell’orbita della politica
dell’identità, e gli impulsi trasformativi
del femminismo, insofferenti ai limiti dei
paradigmi centrati sul lavoro, sono stati
incanalati in un nuovo immaginario
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politico che, dialogando con la
psicanalisi, ha messo in primo piano la
“differenza”. Un vero e proprio esodo
intellettuale dal marxismo alla svolta
culturalista: è quello che, come noto,
Fraser definisce il passaggio “dalla
redistribuzione al riconoscimento”, che
ha enfatizzato la politica culturale
proprio mentre il neoliberismo
dichiarava guerra all’eguaglianza sociale
(Fraser, 2013a: 1). Il terzo atto, quello
ancora in corso, può unire, nella fase
attuale del neoliberismo, il radicalismo
femminista ad altre forze in lotta per
l’emancipazione, puntando a sottoporre
e controllare i mercati in fuga dal
controllo democratico. Si tratta di
utopia? E, soprattutto, quale giustizia di
genere possiamo attenderci dallo
sviluppo di questo “terzo atto” del
femminismo? Infatti, se è evidente che la
svolta verso il riconoscimento
rappresenta un allargamento della lotta
di genere e una nuova interpretazione
della giustizia di genere, non più limitata
alle questioni della ridistribuzione ma
estesa alle istanze dell’identità e della
differenza, non è però così ovvio che le
lotte (anche femministe) per il
riconoscimento servano ad approfondire
e arricchire le lotte per la redistribuzione
egualitaria. Ci si aspetta quindi che il
terzo atto del femminismo faccia
chiarezza su questo punto: quali rapporti,
e quali equilibri possono e devono darsi
tra eguaglianza e differenza? Inoltre,
possiamo ancora affidarci a queste due
istanze, magari diversamente articolate o
calibrate, per realizzare una giustizia
realmente emancipatoria?
Indubbiamente il neoliberismo
comporta l’assalto all’idea stessa di
redistribuzione egualitaria, e gli effetti
amplificati della globalizzazione hanno
messo in dubbio l’uso del potere
pubblico come argine alle forze del
mercato. La socialdemocrazia non ha
potuto fare altro che mettersi sulla
difensiva perdendo terreno. Da parte
loro, i movimenti femministi, che
avevano in precedenza assunto il welfare
state come riferimento per estendere il
suo ethos egualitario dalla classe al
genere, avendo fallito nel loro intento
redistributivo, verso la fine del secolo
scorso hanno cominciato a gravitare
attorno a “nuove grammatiche di
rivendicazione politica”, più in sintonia
con lo spirito post-socialista del tempo
(ibid.: 4), vedendo nel “riconoscimento
della differenza” una nuova definizione
della giustizia di genere. Questa
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importante categoria della filosofia
hegeliana ha dato alle lotte post-
socialiste la forma di politiche
dell’identità; per il femminismo in
particolare, essa ha significato uno
spostamento dalle questioni economiche
alle trasformazioni della cultura, e, di
fatto, delle lotte sociali alle lotte
culturali. Nel contesto del neoliberismo
in ascesa, in effetti, le seconde possono
spiazzare le prime e la vittoria
intrecciarsi con la sconfitta (cf. Fraser,
2013b: 161): gli importanti successi del
femminismo sul piano del
riconoscimento, scrive Fraser,
coincidono con una situazione di stallo o
di arretramento sul piano della
distribuzione.
2
La beffa per il femminismo e le
sue lotte, ma anche il danno da esso
subito, è che il riconoscimento ha finito
per coincidere col neoliberalismo in
ascesa e con il suo intento di repressione
dell’intera memoria dell’egualitarismo
sociale (cf. Fraser, 2008b: parti I e III).
2
Inoltre, il significato di “eguaglianza” è
stato oscurato, e a volte addirittura modificato,
dalle elaboraz ioni poststrutturaliste (non solo
femministe) della nozione di “differenza”, che ha
giocato un ruolo chiave per almeno un decennio
soprattutto nell’ambito delle gender e/o racial
politics. “Differenza” è stato il perno attorno a
cui si sono costruiti programmi e teorie legati alla
“democrazia radicale”, come scrive nel suo
Una tragica ironia della storia, potremmo
dire, visto che lo spostamento dalla
redistribuzione al riconoscimento è
avvenuto proprio mentre un capitalismo
reso più aggressivo sta inasprendo le
diseguaglianze economiche a livello
globale (Fraser, 2013b: 160).
3
Ciò però
non impedisce di sperare in nuove lotte
per l’emancipazione. Se pensiamo che la
critica dell’economia politica sta
riconquistando la sua centralità, infatti,
anche la visione emancipatrice del
femminismo, che ha subito una
contrazione alla fine del novecento, può
tornare ad avere importanza. Quali
possano essere le nuove condizioni di
possibilità dell’emancipazione
femminile cercheremo di discuterlo in
questa sede. Va da sé che né l’uno né
l’altro dei due poli singolarmente presi
(redistribuzione/riconoscimento)
possono realizzare da soli
l’emancipazione. Occorre una
prospettiva che comprenda e superi
entrambi e che soprattutto sia in grado di
lavoro pionieristico Chantal Mouffe (19 92a;
1989). Sulla differenza sono stati costruiti nuovi
tipi di solidarietà sociale: si veda, in particolare,
Butler et al. (1997). Sulla nozione di “differenza”
sono state espresse importanti riserve anche da
Chantal Mouffe: cfr. Mouffe (1992b).
3
Per una discussione più approfondita, si
veda: Fraser (1997a, 2003).

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