La riforma del diritto fallimentare in Italia: Una nuova visione del mercato

AutorLuigi Farenga
Páginas9-16

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  1. Il d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, entra-to in vigore il 16 luglio 2006, ha profonda-mente riformato il sistema delle procedure concorsuali nell'ordinamento italiano. In realtà una anticipazione della riforma si era già avuta con il d.l. 14 marzo 2005 n. 35 (conv. in l. 14 maggio 2005 n. 80), il quale aveva completamente rivisitato la proce-dura di concordato preventivo, introdotto la disciplina degli "accordi di ristruttura-zione dei debiti", abrogato la procedura di amministrazione controllata (ora assorbita dal nuovo concordato preventivo) e modi-ficata la disciplina dell’azione revocatoria fallimentare.

    In effetti l'opera del legislatore non si ferma qui, perché è infase di approvazione proprio in questi giorni un decreto corretti-vo che apporterà ulteriori "aggiustamenti" in alcuni punti della nuova disciplina,1 che peraltro non riguardano in modo significativo quanto è oggetto della presente relazione.

    Questa riforma era attesa da moltissi-mi anni: la c.d. legge fallimentare, emanata nel lontano 1942 (r.d. 16 marzo 1942 n. 267), era infatti rimasta sostanzialmente im-mutata sino alla riforma, salvo alcuni spo-radici intereventi della Corte Costituziona-le, che riguardavano questioni piuttosto di carattere processuale.

    L’immobilismo del nostro legislatore, sordo alle sollecitazioni degli interpreti, che giustamente lamentavano l'inadegua-tezza della disciplina dinanzi ai profondi mutamenti della realtà socio-economica del paese, ha avuto come conseguenza una riforma dai contenuti così drastici da solle-vare un dibattito particolarmente acceso tra gli operatori del diritto.

    Gli obiettivi del legislatore erano es-senzialmente tre: l'eliminazione delle con-seguenze "afflittive" della dichiarazione di fallimento nei confronti dell'imprenditore persona fisica; la "velocizzazione" della procedura; e la riduzione della "soglia di fallibilità".

    Non hanno invece trovato posto la, da molti auspicata, disciplina degli "strumenti di allerta e prevenzione", che avrebbero dovuto condurre ad un "risanamento" preventivo delle imprese in crisi.

    Le maggiori critiche si sono appunta-te soprattutto sul diverso sistema di com-petenze stabilito dalla riforma: si è infatti

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    sottratta al giudice la funzione di "direzio-ne" della procedura (cfr. particol. art. 25), limitando le sue competenze alla "vigilan-za" ed al "controllo" sulla medesima, men-tre si sono notevolmente ampliate quelle del comitato dei creditori, non più sempli-ce organo consultivo del giudice, ma ora organo con funzioni di indirizzo e controllo. Molti atti autorizzativi sono stati trasfe-riti dal giudice (sia esso tribunale o giudice delegato) al comitato dei creditori, mentre il curatore incontra meno vincoli nell' esple-tamento delle sue funzioni.

    Se nel complesso la riforma possa giudicarsi positivamente oppure no è ancora difficile dire: certamente però i principi generali sui quali è basata sono da condivi-dere. Proveremo comunque a fare luce su alcuni aspetti della nuova disciplina.

  2. Che vi fosse la necessità di dare un taglio netto con il passato è indubbio.

    Un sistema economico efficiente necessita anche di una disciplina della crisi di impresa moderna ed aderente alla realtà imprenditoriale del paese. Una disciplina del fallimento e delle altre procedure con-corsuali vecchia di oltre 60 anni costituiva una vera e propria anomalia del nostro or-dinamento.

    D'altra parte il r.d. del 1942 era coerente con l'epoca nella quale fu emanato, ma soprattutto era coerente con la visione che allora si aveva del mercato. Un merca-to perfetto, ove l'impresa inefficiente era considerata una sorta di "virus" da debella-re e l'imprenditore insolvente un pericolo cui doveva essere impedito, per quanto possibile, un ritorno alle attività economi-che. Unico rimedio alla crisi di impresa veniva offerto dalla procedura di amminis-trazione controllata, procedura peraltro così poco efficiente che inben pochi casi si è registrato un risultato positivo, mentre il concordato preventivo aveva l'unica funzione di evitare all’imprenditore le pesanti conseguenze personali e patrimoniali deri-vanti dalla dichiarazione di fallimento, ma costituiva, di fatto, nient'altro che una diversa forma di liquidazione concorsuale.

    Così l'imprenditore fallito doveva su-bire "l'umiliazione" della iscrizione nel "pubblico registro dei falliti" (art. 50 abro-gato), perdeva addirittura (per un periodo massimo di 5 anni) un diritto civile fonda-mentale, come l'elettorato attivo (art. 2, comma 1, lett. a) del d.p.r. 20 marzo 1967 n. 223), e solo a seguito di una sentenza di "riabilitazione civile" poteva essere can-cellato dal registro (artt. 142 ss. vecchio testo). Sinché durava la procedura (e, per-tanto, di fatto, per molti anni) non poteva allontanarsi dalla propria residenza se non con il permesso del giudice delegato (art. 49 vecchio testo) e la sua corrispondenza era acquisita dal curatore, il quale, seppure tenuto al segreto su quella di carattere per-sonale, necessariamente ne leggeva il con-tenuto (art. 48 vecchio testo).

    La sorte dell'impresa, considerata null'altro che parte del patrimonio dell'im-prenditore fallito, era necessariamente la liquidazione, essendo in principio escluso un suo risanamento o, quantomeno, una cessione dell’azienda in funzionamento, non prevedendo la previgente disciplina alcuna norma in tema di cessione in blocco o di affitto dell'azienda,2 e posto che l'eser-cizio provvisorio dell’impresa costituiva evento del tutto eccezionale e subordinato all’autorizzazione del giudice delegato, previo parare favorevole (vincolante) del comitato dei creditori (art. 90 vecchio testo).

    Nessuna attenzione per la sorte dei di-pendenti, trattati come semplici creditori concorsuali.

    A loro volta i creditori erano conside-rati una massa priva di capacità di tutelare adeguatamente i propri interessi economi-ci nella procedura e, pertanto, bisognosa di

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    protezione da parte dell'autorità giudizia-ria. Quest’ultima assumeva il ruolo di gui-da in una procedura scandita da rigidi per-corsi procedimentalizzati, dal che il falli-mento veniva concepito null'altro che una procedura esecutiva, diversa da quella in-dividuale per la sola presenza del...

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