Diritti fondamentali, fra Unione Europea e Costituzione italiana

AutorSilvio Gambino
CargoUniversità della Calabria, Italia
Páginas73-127

Page 74

1. Sviluppi e (persistenti) incertezze nel processo di integrazione europea Alcune premesse

A conclusione di un lungo iter segnato dalle discussioni politiche e dai dibattiti giuridici che hanno accompagnato la proclamazione (a Nizza, nel 2000) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – colta come Bill of rights di un’Europa ormai divenuta politica1 – veniva sottoscritta (Roma, 29 ottobre 2004) la bozza di ‘Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa’. Tale (bozza di) trattato, definito da una parte della dottrina come (un vero e proprio) Trattato-Costituzione, avrebbe conosciuto la piena vigenza a partire dal 1° novembre 2006, qualora, entro tale data, fosse stato ratificato dai Parlamenti degli Stati membri della Unione europea2. Come è noto, così non è stato in ragione dei pronunciamenti referendari negativi registrati in Francia e in Olanda. Ancorché con un’intensità ben diversa da quella sollevata dalla sensibilità costituzionale evidenziata (già a partire dalla sua intestazione) nel ‘Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa’, la crescente centralità del diritto dell’Unione continua a rimanere di stringente attualità nel suo farsi carico delle complesse questioni poste dalla necessaria coabitazione della cultura dell’integrazione europea con quella del rispetto della uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e della loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali (art. 4 dei ‘nuovi’ trattati, già art. I-5Page 75 del Trattato costituzionale non ratificato)3. Nel quadro del processo d’integrazione europea, approdato dapprima, come si è ricordato, alla elaborazione del ‘Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa’ – nel quale, come si può osservare, veniva espressamente evocato il nomen juris costituzionale – e ora all’attribuzione ai diritti (nonché alle libertà e ai principi) sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. dello stesso valore giuridico dei trattati (art. 6 ‘nuovi’ trattati), le riflessioni che ora saranno proposte affronteranno, sia pure in modo essenziale, la questione del diritto sostanziale e delle relazioni fra diritto interno e diritto dell’Unione, in unum con la stessa questione teorica posta dalla utilizzabilità (o meno) delle categorie costituzionali classiche previste per la disciplina dei procedimenti di revisione costituzionale (e dei relativi limiti formali e sostanziali)4.

A seguito dell’incorporazione (sostanziale) della ‘Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.’ all’interno dei ‘nuovi’ trattati (con il riconoscimento ai diritti, alle libertà e ai principi sanciti dalla medesima dello stesso valore giuridico riconosciuto alle altre disposizioni dei trattati), il processo d’integrazione europeo (si sarebbe prestato e) – secondo taluni approcci dottrinari – si presterebbe ad essere considerato come un processo costituzionale pienamente conseguito, in deroga alle procedure previste dal diritto pubblico per assicurare la legittimazione politica di una nuova Costituzione.

Tuttavia, la formale dequotazione del linguaggio costituzionale nell’ambito dei ‘trattati’, per come riformati a Lisbona, nel fondo, non tocca la centrale questione posta, nell’ambito delle teoria delle fonti, dalla integrazione della disciplina costituzionale dei diritti (con le relative riserve di legge e di giurisdizione) con una nuova disciplina posta dal dirittoPage 76 dell’Unione. Alla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., inoltre, ora si aggiungono i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 6.2 dei trattati) e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che fanno parte del diritto dell’Unione in quanto ‘principi generali’ (art. 6.3 dei trattati). È in questo quadro che trova piena motivazione l’affermazione normativa accolta nei ‘nuovi’ trattati (di Lisbona), secondo cui gli stessi segnano “una nuova tappa nel processo di creazione di un’Unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese in modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini” (art. 1.2 ‘nuovo’ T.U.E.).

Ancorché le incertezze politiche prodotte dai primi due negativi pronunciamenti referendari (Francia e Olanda) – cui si è aggiunto quello dell’Irlanda nei confronti della prima formulazione del Trattato di Lisbona (Irlanda, 12 giugno 2008) – abbiano imposto un ripensamento dell’intera architettura istituzionale e normativa del Trattato, possiamo forse ancora assumere come legittimo quell’interrogativo con il quale ci si è chiesti se avesse un senso giuridico autoqualificare come costituzionale il ‘Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa’, o se, al contrario, tale trattato di costituzionale non avesse che il mero nomen juris, per il resto avendo natura formale e materiale affatto diversa da un mero trattato internazionale.

Aggiungiamo, senza presunzione alcuna di originalità, che tale approccio non impedisce a che si prendano in seria considerazione le conseguenze, peraltro già da tempo operative (in termini di ‘primato’ e di ‘diretta applicabilità’ del diritto dell’Unione europea su quello degli Stati membri), circa la piena forza giuridica all’interno del diritto dell’U.E. delle norme di protezione dei diritti e delle libertà fondamentali, ieri (Nizza, 2000) codificate come mere proclamazione politiche, in seguito (Roma, 2004) integrate all’interno del corpo del Trattato-Costituzione e ora, infine, dotate dello stesso valore giuridico dei trattati. In tale ottica, continua a conservare una sua validità ermeneutica l’interrogativo su quali siano le procedure costituenti da seguirsi al fine di assicurare una trasformazione della natura dei presenti trattati in vera e propria Costituzione europea (qualora auspicata, come tuttavia sappiamo bene non essere, almeno dalla parte più rilevante dei 27 Stati attualmente sottoscrittori dei trattati dell’Unione), interrogandosi se le procedure previste dai nuovi trattati per la loro revisione possano qualificarsi come costituenti o se le stesse possano compararsi con le procedure di revisione previste nel costituzionalismo contemporaneo. Nelle more di una decisionePage 77 formalmente costituente da parte dei popoli europei (destinata probabilmente ad un futuro più lontano dell’Unione), permangono aperte tutta una serie di questioni di raccordo fra livelli di protezione dei diritti. Al momento, questi ultimi dovranno trovare una soluzione avvalendosi degli strumenti predisposti dal diritto dell’Unione, nel rispetto delle identità nazionali degli Stati membri insite nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale.

Nel quadro di un (inedito) sistema costituzionale multilevel5, tali strumenti, in ultima istanza, si rimettono alle Corti costituzionali nazionali, alla Corte di giustizia dell’U.E., alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché ai giudici nazionali, chiamati, nell’ambito processuale, a far valere il primato e la diretta applicabilità del diritto dell’Unione su quelli nazionali, tranne che i ‘livelli di protezione’ dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non conoscano una protezione più intensa da parte delle Costituzioni degli Stati membri, nonché da parte del diritto internazionale, delle Convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 53, Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.). In tal senso, riguardando parametri positivizzati (quelli relativi ai diritti fondamentali dell’Unione), tale diretta applicabilità del diritto dell’Unione porrà il giudice ordinario (dei singoli Paesi membri dell’U.E.) nella condizione di far valere direttamente il diritto dell’Unione su quello interno nella stessa materia che, a livello nazionale, vede il Giudice costituzionale assicurare il sindacato dell’eventuale invalidità della legge per lesione dei princìpi e dei diritti costituzionalmente garantiti. Ed è appunto in questa delicata e complessa vicenda che, nel quadro di una prospettiva de jure condendo – e nella prospettiva (qualora auspicata) di una Unione europea che si trasformi in vero e proprio Stato federale o confederale – si dovrebbe individuare la necessarietà di un procedimento costituente capace di assicurare, al di là della gracile fondazione assicurata dalle previsioni dell’art. 11 Cost., la formale gerarchia/preminenza del diritto costituzionale dell’Unione sullo stesso diritto costituzionale degli Stati membri (sia in materia di distribuzione costituzionalePage 78 delle competenze sia in materia di diritti fondamentali, sia pur con i limiti di cui in seguito si dirà). Tranne limitate...

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