'Das Condições Gerais dos Contratos e das Cláusulas Abusivas nos Contratos de Consumo na Itália'

AutorLourdes Fernández Del Moral Domínguez
CargoProfessora Doutora de Direito Privado da Universidade de Nápoles
Páginas153-172

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I contratti del consumatore come contratti asimmetrici e le clausole abusive

N el sistema italiano, si può affermare che il legislatore ha affrontato i problemi sostanziali, con riferimento alla fisiologica debolezza del consumatore, solo a seguito della spinta del legislatore europeo.

Il diritto europeo dei consumatori ha subito una importante e significativa evoluzione normativa che ha segnato l’evoluzione anche del diritto italiano in questo settore. La direttiva 93/13/CEE, relativa alle clausole abusive nei contratti con i consumatore, rappresenta una pietra miliare nella storia del diritto del consumo. Segna un punto di svolta anche perché è la prima direttiva a carattere “orizzontale”. Difatti, la nuova direttiva che gli Stati membri devono recepire e introdurre seguendo il criterio dell’armonizzazione minima (avendo, cioè, la possibilità di prevedere anche norme più severe nell’interesse del consumatore), non riguarda un particolar contratto o una particolare modalità di contrattazione, ma riguarda tutti i contratti. La disciplina impone un controllo sostanziale, la cui concretizzazione è affidata al giudice, su ogni contratto che intercorre fra un consumatore e un professionista, indipendentemente dal suo oggetto o dalle particolari modalità di vendita; il controllo è imperniato su una clausola generale di vessatorietà, incentrata su criteri elastici, alla quale fa seguito un elenco di presunte clausole vessatorie fino a prova contraria.

L’attuazione di questa direttiva è stato al centro di in un intenso dibattito. Recepire direttive comunitarie nel diritto interno non è mai operazione semplice. Ma recepire questa direttiva nel sistema italiano ha rappresentato un’impresa particolarmente complessa. In primo luogo, numerose discussioni provocò la traduzione, in lingua italiana, della direttiva. Traduzione, che la dottrina ha qualificato come pessima e fonte di importanti confusioni. In secondo luogo, non si può sottacere che la normativa comunitaria si ispirava non al modello italiano, ma a modelli stranieri di difficile coordinamento con quello italiano1.

Dinnanzi a una direttiva che, in quanto tale, vincolava per il risultato da raggiungere, ma lasciava salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi, si sollevò un’accesa discussione in dottrina circa l’opportunità di affidare la tutela del consumatore a un sistema giudiziale o a un sistema amministrativo. In sede di attuazione della direttiva, prevalse l’idea di prevedere una tutela di tipo giudiziale, sia per la tutela individuale che per quella collettiva. L’evoluzione posteriore ha dimostrato l’opportunità di affiancare a questo sistema, una tutela collettiva anche di tipo amministrativo, attraverso l’intervento dell’Autorità per la Concorrenza e il mercato, introdotta, per

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quanto riguarda la valutazione delle clausole vessatorie con decreto legislativo di 24-1-2012, n. 1, art. 5.

Nonostante tanti punti discussi, il legislatore italiano scelse la strada apparentemente più facile, dando attuazione in modo pedissequo, adoperando una tecnica scadente e sciatta, senza sforzarsi di adattarne il significato sostanziale alle peculiarità del nostro diritto e di armonizzarlo con le altre parti del sistema vigente.

L’attuazione della direttiva 93/13/CEE e le clausole vessatorie

In un primo momento, il legislatore italiano diede attuazione alla direttiva con la legge di 6 febbraio 1996, n. 52, inserendo alcuni articoli nuovi nel Codice civile, alla fine della parte dedicata al contratto in generale (artt. 1469-bis al 1469-sexies). Questa scelta fu preceduta di un intenso dibattito in dottrina sulla collocazione più opportuna della nuova normativa per le implicazioni che tutto ciò poteva comportare nei rapporti tra disciplina generale del contratto e la nuova normativa e l’espansione dell’ambito di applicazione di quest’ultima2.

Successivamente, la legge n. 229/2003 concesse una delega al Governo ad adottare uno o decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori. Dopo un travagliato percorso è stato approvato il d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, denominato “Codice del consumo”.

Il Codice del consumo cerca di riorganizzare in maniera sistematica e di coordinare le varie leggi intervenute in tema di tutela dei consumatori, per dare una risposta al disagio che l’interprete provava in presenza di una produzione normativa che si era andata disordinatamente e disorganicamente formando.

Il Codice del consumo non crea nuove norme, ma mira a consolidare l’esistente, raggiungendo l’obiettivo di offrire un quadro più chiaro, favorendo la semplificazione interpretativa di un complesso quadro normativo, determinato dal moltiplicarsi di leggi. Infatti, è possibile osservare come il nuovo quadro normativo che risulta dal Codice del consumo, che contiene norme che già erano presenti nel sistema e che per lo più sono state riportate senza apportare modifiche alla formulazione che già avevano, comporta in ogni caso una importante novità: il codice del consumo, riaccorpando e ricomponendo regole sparse nel sistema, consente di vedere con chiarezza quanto già esisteva e permette, in tal modo, di rintracciare ed enucleare principi che non sempre l’operatore era in grado di far emergere in una disciplina disorganica e frammentata. Si tratta, inoltre di un codice “aperto” (art. 144 cod. cons.), che è suscettibile di continue integrazioni e modificazioni, come di fatto si sono susseguite3.

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In questo panorama, la normativa relativa alle clausole vessatorie, contenuta prima nel Codice civile, è stata inserita nel Codice del consumo con l’abrogazione della precedente. Tuttavia, il legame tra il sistema di regole dettata dal codice del consumo e quello generale dettato dal codice civile non è stato reciso, nemmeno formalmente, perché il testo attuale dell’art. 1469-bis, come modificato in occasione della trasposizione della disciplina negli artt. 33 ss. del cod. cons. chiarisce che la disciplina generale dei contratti si applica anche ai contratti del consumatore per tutto quanto non sia derogato dal codice del consumo o da altre disposizioni di legge4.

L’ambito di applicazione della disciplina sulle clausole vessatorie ruota intorno alle figure soggettive di consumatore e professionista.

La definizione di consumatore è contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. a), cod. cons. La norma adotta la più ricorrente delle definizioni utilizzate dalle varie direttive europee e, in particolare, riproduce la definizione contenuta nella direttiva 93/13/CEE. La novità rispetto alla matrice di origine comunitaria è che alla figura del “consumatore” viene espressamente affiancata quella dell’”utente”, il che manifesta anche con il linguaggio normativo una progressiva attenzione ai servizi5.

Consumatore o utente è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. Nella fase immediatamente successiva al recepimento della direttiva 93/13/CEE la dottrina ha molto discusso sulla esclusione dalla categoria dei consumatori degli enti non profit, con o senza personalità giuridica. Ma il dettato normativo è sembrato rigido e puntuale nella esclusione di questo tipo di soggetto (6).

L’interpretazione della nozione di professionista (“persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” art. 3, comma 1, lett. c) si è risentita di una serie di dubbi diffusi in tutta l’UE. Si può affermare che oggi prevale l’interpretazione che intende la nozione di “scopo” in senso oggettivo, cioè in ragione del contenuto, dell’oggetto, delle circostanze nelle quali il contratto si è concluso (7) e quella che risolvi i dubbi sull’eventuale “uso promiscuo” in base al criterio della prevalenza8.

In questa linea si inserisce la tutela del consumatore nei rapporti tra questi e i professionisti, attraverso la nullità delle clausole che, malgrado la buone fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto (artt. 33-38 codice del consumo, specialmente artt. 33, 36, 37 e 37-bis).

Nei contratti conclusi tra un consumatore ed un professionista il pericolo dell’asimmetria deriva, da una parte, dalla migliore organizzazione e dalle

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maggiori conoscenze che contraddistinguono l’operatore professionale rispetto al consumatore, non solo con riguardo alle caratteristiche del bene o del servizio fornito, ma anche con riguardo alle tecniche di marketing e in particolare alle tecniche commerciali che possono aumentare la propensione all’acquisto da parte della potenziale clientela. Da un’altra parte, deriva anche nei casi dei contratti di massa, regolati da apposite condizioni generali di contratto, dal carattere seriale della domanda, che sopravanza l’offerta, cioè l’entità delle alternative che possono essere effettivamente prese in considerazione da parte di un acquirente meramente occasionale, qual è appunto il consumatore9.

Tali circostanze mettono il professionista in condizione di poter determinare uno squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, senza che il consumatore possa concretamente evitarlo. Per questo il legislatore comunitario ha introdotto la direttiva 93/123/CE per la disciplina delle clausole abusive nei contratti dei consumatori, stabilendo che una clausola contrattuale che non è stata oggetto...

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