Cesare Vivante e il 'mito di fondazione' della scienza del diritto commerciale

AutorMario Stella Richter Jr.
Páginas7-18

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1. Il Trattato di Cesare Vivante

Nel 1893 è pubblicato, per i tipi dell’editore Bocca di Torino, il primo volume del Trattato di Vivante;1il titolo esatto è originariamente Trattato Teorico-Pratico di Diritto Commerciale (e su questo particolare si tornerà tra breve). Nei successivi otto anni escono, a completamento dell’opera, altri tre volumi.

Seguiranno ulteriori quattro edizioni fino alla 5ª del 1922-1926,2che rimane quella definitiva per precisa volontà di Vivante, il quale rifiuta le sollecitazioni dell’editore ad approntare, negli anni ’30, una nuova edizione. Lo ricorda Alfredo De Gregorio: "Gli era stato proposto di pubblicare una nuova edizione - non una semplice ristampa - del suo Trattato di Diritto Commerciale, ma aveva rifiutato, e poiché io me ne mostravo addolorato, egli mi spiegò che con quell’opera si era concluso tutto un periodo di studi, di ricerche, di rinnovamenti del diritto commerciale italiano, e che era opportuno lasciarla stare così, quasi come un monumento di una prima tappa raggiunta. Avrebbero proseguito il cammino i giovani, forse con indirizzi o metodi diversi, forse tentando varie vie prima di trovare o riprendere la via più opportuna".3

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All’aggiornamento del quarto volume della 5ª e definitiva edizione collabora un giovanissimo professore (astro nascente della giuscommercialistica italiana) di nome Tullio Ascarelli.4Dalla 2ª edizione il titolo diventa semplicemente Trattato di Diritto Commerciale;5dalla 3ª edizione, che inizia ad essere pubblicata nel 1907, l’editore non è più Bocca ma il milanese Vallardi, per il quale Vivante ha fondato nel 1903, insieme ad Angelo Sraffa, la Rivista del Diritto Commerciale.

2. (segue) .. mito di fondazione della scienza del diritto commerciale

Vorrei anzitutto chiedermi che cosa rappresenti oggi il Trattato. E mi pare di dover rispondere che rappresenta essenzialmente un mito e in particolare un mito di fondazione: Vivante e il suo Trattato6 sono comunemente intesi come il principio della moderna scienza italiana del diritto commerciale.7

Naturalmente, come tutti i miti, in generale, esso assume contorni poco definiti e infatti oggi mi pare, al di là delle note pagine introduttive, non sufficientemente conosciuto e poco effettivamente letto (al pari di altri classici di quel periodo), almeno dalle generazioni dei più giovani studiosi... Il che, a sua volta, contribuisce a rafforzarne la dimensione mitica.

Inoltre, come mito di fondazione, in particolare, si presta a riconsiderazioni più sfumate che valorizzino ciò che ci fu prima della fondazione e prima del conditor e della data assunta a cesura di una evoluzione e di uno sviluppo di esperienze e di riflessioni, sviluppo che, nella realtà, non conosce inter-ruzioni: potrebbero essere quindi tirate fuori dall’ombra alcune pagine di Romagnosi, di Montanelli e le opere di Alberto Marghieri8 e, forse soprattutto, quella di Ercole Vidari (non a caso da Mario Libertini definito uno dei due "padri fondatori" del diritto commerciale italiano9). E, tuttavia, quello che a me pare evidente è che con Vivante e con il suo Trattato si assiste a un "salto qualitativo" nettissimo, al superamento di una pausa, a una discontinuità che giustifica pienamente l’affermazione di quello che ho chiamato il "mito di fondazione" e cioè l’attribuzione a tale opera di un preciso carattere fondativo: insomma, per quanto riguarda la moderna giuscommercialistica italiana, più che di patres parlerei di unico padre fondatore.

Dicevo di una cesura, del superamento di una pausa, di un "salto qualitativo"; e vorrei soffermarmi proprio su questi fatti per notare due cose: da un lato, come essi furono subito evidenti ai contemporanei, che ne restarono immediatamente colpiti; e, dall’altro, come all’affermazione del

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mito contribuì, in modo programmatico e consapevole, lo stesso Vivante. Vorrei poi accennare a un confronto tra questo mito di fondazione e altri miti di fondazione di altre discipline giuridiche.

3. Le recensioni e i giudizi dei contemporanei

Per capire che cosa rappresentò per i contemporanei l’uscita del Trattato di Vivante è sufficiente andarsi a rileggere le recensioni dell’opera, che furono in Italia e in Europa tantissime (ben 24 sono, almeno in parte, riprodotte alla fine dell’ultimo volume del Trattato).

La immediata fortuna del Trattato non fu soltanto domestica, ma essenzialmente europea: lo dimostrano le recensioni sulle principali riviste straniere e lo dimostra la fortunatissima traduzione in francese dell’opera (curata da Jean Escarra e pubblicata con una "Prefazione" di Albert Wahl).10Ciò che immediatamente impressiona (e che la costruzione del mito ha contribuito a riaffermare) è appunto l’idea che l’opera di Vivante nacque perfetta, matura come Minerva che esce dalla testa di Giove, già adulta, armata e vestita di corazza e cimiero! Qui bisogna leggere qualche riga di Alfredo Rocco: "è meraviglioso che in un periodo, se non d’immaturità, certo di assai incompleta elaborazione del diritto commerciale italiano, il Vivante abbia potuto dare una ricostruzione così poderosa ed organica della materia ardua e nuova. I trattati di solito conchiudono, non precedono un periodo di intensa attività scientifica. Ne sono il risultato e la sintesi... Ma Vivante scrisse il suo Trattato quando la maggior parte delle dottrine del diritto commerciale era stata appena sfiorata: egli dovette, si può dire, crearle ex novo. Più che un trattato, cioè una riorganizzazione sistematica di una materia, l’opera del Vivante è una rielaborazione originale. La teoria delle fonti, quella della rappresentanza, la trattazione dei titoli di credito, quella delle società, furono, nel momento della loro apparizione, sistemazioni nuove di temi che non avevano mai avuto una vera ed organica elaborazione scientifica. Alcuni dei risultati sono da considerare definitivi".11Effettivamente nel torno di anni in cui apparve il Trattato il panorama della letteratura italiana12del diritto commerciale non si era ancora quasi affatto evoluto da quella situazione di crisi che aveva caratterizzato la giuscommercialistica di quasi tutto il secolo XIX. E, tuttavia, la gestazione del Trattato non dovette essere indolore; essa presuppose uno sforzo titanico che lo stesso Vivante ricorda quando evoca la "vita quasi claustrale di professore" a Bologna negli anni della stesura del Trattato13o quando scrive - nella "Prefazione" alla sua II edizione - di "essere stato per 10 anni lo schiavo di questo Trattato".14

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4. Il Trattato e la chiamata a Roma "per chiara fama"

Inoltre, sempre per capire cosa rappresentò la pubblicazione del Trattato, bisogna ricordare che fu proprio la celebrità subito assunta da quella opera che nel 1898 indusse il Ministro della Pubblica Istruzione15a chiamare per chiara fama Vivante sulla cattedra di Diritto Commerciale della Università di Roma.16Su questa chiamata (e su quella precedente di Vittorio Scialoja del 188417)

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sarebbe da fare un approfondimento a parte: perché si trattò di un programma chiaramente politico per consentire, dopo l’unità d’Italia e la conquista di Roma, di fare della Facoltà giuridica romana il faro dell’università italiana.18

5. Vivante e gli altri patres

Si diceva del ruolo fondante che incarna il Trattato e si diceva della eccezionalità di una creazione tanto innovativa e tanto evoluta rispetto al coevo panorama della giuscommercialsitica. E tuttavia non si può non considerare come tale creazione avvenga in una stagione di straordinaria fecondità e di incomparabile significatività per le scienze giuridiche in generale e per quelle italiane in particolare.

Vivante, nato nel 1855, appartiene a una generazione di patres. Solo per citare i sommi, può ricordarsi che nello stesso anno di Vivante era nato Lodovico Mortara; Carlo Fadda solo due anni prima; Vittorio Scialoja sarebbe nato l’anno dopo e Vittorio Emanuele Orlando nel 1860.

È la generazione dei giuristi nell’ultimo quarto del secolo XIX che realizzano in Italia il rinnovamento degli studi giuridici portan- dolo a una altezza nel mondo inferiore (forse solo per quantità e non anche per qualità) unicamente a quella che fu propria della pandettistica tedesca.19Se dunque il profilo di Vivante si staglia isolato nella giuscommercialistica, la sua figura può essere confrontata con quelli di altri patres suoi contemporanei. Anzitutto per osservare come si tratti sempre, in buona sostanza, di autodidatti; il che è d’altra parte logico in una generazione che dovette realizzare un vera e propria "rivoluzione" scientifica e culturale: al di là di una affettuosa riconoscenza verso alcune figure con cui si avviarono agli studi,20tutti coloro che ho menzionato considerarono loro riferimenti - se lo fecero e non tutti lo fecero - giuristi che non conobbero direttamente, lontani da loro nello spazio e talora anche nel tempo.21Un altro punto che li accomuna tutti quanti, forse con la sola eccezione di Scialoja, fu una presa di distanza più o meno netta dal regime fascista.

Ovviamente tra loro ci furono grandi differenze. Noterei in particolare come non tutti lasciarono una grande e comprensiva opera organica come monumento personale del loro ruolo di padri fondatori di una disciplina scientifica: certamente non lo fece Scialoja (che d’altronde, come è noto, provò sempre una certa ripugnanza a scrivere22);

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lo stesso Trattato di Orlando fu scritto col concorso di un gran numero di autori;23Fadda scrisse le celeberrime Note alle Pandette di Windscheid,24che, al di là del titolo modesto e sommesso, sono...

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